domenica 19 settembre 2010

Comunicazione

I due mesi precedenti alla partenza alla volta di questa terra umida (in realtà in questi giorni non è che sia piovuto tanto, ma non lamentarsi del clima olandese è decisamente out) e fredda (boia deh, diaccia è diaccia davvero, venerdì sera, alla mitologica festa in Tramstraat 23 (casa di Albe, ci saranno state 100 persone(corsi e ricorsi storici)) il termometro indicava una sola cifra a sinistra del separatore decimale) sono stati ossessivamente caratterizzati da 2 parole e un segno di interpunzione: "E Lucia?"
Roba da chiodi: te ne vai a vivere a fanculo fra pochi giorni, lo annunci tutto gasato alle persone che ti circondano, e tutto quello che ottieni (da tutti, nessuno escluso!) è una domanda sulla vita di Lucia. Ma proprio non ve ne frega niente di quello che pensa la redazione? Ma proprio non vi interessano i motivi che ci hanno spinto a scrivere post dal "buco del culo del mondo" (citazione testuale della vostra amata beniamina)?
Da una parte questa cosa mi ha fatto molto comodo, perché, in molti casi, mi sono potuto tenere per me le paure, le ansie, le aspettative, l'entusiasmo per questo grande passo. Sai che paio di palle raccontare a tutti il guazzabuglio del proprio cuore umano fino a farlo diventare stereotipo, svuotandolo del pathos tempestoso di quei giorni e non ancora pienamente estinto!? Tra l'altro, anche la vostra amata beniamina non è che fosse entusiasta della cosa, visto che il guazzabuglio spiattellato era il suo.
In realtà, dopo una lunga riunione preeditoriale, la redazione è giunta a questa conclusione: non è possibile che a nessuno degli interpellati fregasse una beneamatissima ceppa di Luca e del suo cambiamento, vista la dimensione del campione ciò sarebbe statisticamente improbabile (o, di tutti i mi amici ce ne sarà almeno uno, che cazzo, che si interessa un poìno, o no!?). La realtà è che il nostro cervello interpone delle sovrastrutture comunicative fra le nostre reazioni a caldo e la logica. E' un impulso a bypassare la questione nodale in cerca del dettaglio pruriginoso. E' un impulso a manifestare una reazione che, sbagliando, si ritiene attesa dall'annunciatore prima di aver focalizzato il significato dell'annuncio medesimo. E' una reazione inconsciamente egoista, insomma.
La conferma validante la teoria è giunta in redazione qualche giorno fa dal racconto della magica Francesca Rossi (nome di fantasia per garantire la privacy; l'idea iniziale era di scrivere il suo vero nome e poi scrivere "nome di fantasia", la privacy sarebbe stata garantita lo stesso, ma non rischiamo). "Sai mi sono lasciata", ci dice lei, così come ha fatto con altre decinaia di persone in questo periodo. Ebbene, tutti, nessuno escluso (vabbè, la redazione stava già maturando questa teoria, quindi non fa testo se non è caduta nell'errore) le hanno risposto con il più gratuito dei "mi dispiace". Il punto, infatti, è che Francesca è contenta come una Pasqua di essersi lasciata perché ha capito che quel rapporto non la rendeva più felice, quindi, nonostante le tribolazioni (abbondandti) del caso, lei si sente liberata. Ma a nessuno sembrerebbe interessare niente di tutto ciò. L'importante è manifestare compassione, simpatia (entrambe in senso etimologico), senza neanche porsi il problema se ce ne sia bisogno o meno. Sarebbe bastata una semplice domanda razionale ("E te come stai?") ad evitare il rischio di un fraintendimento ("Ma come, ti dispiace di vedermi più serena!?"). Sovrastrutture comunicative, bello deh!
Come di consueto il dibattito è aperto, si accettano spunti e dati pro e contro la teoria.
Ma la comunicazione ha tante forme, non solo quella verbale (e il nuoto è lo sport più completo). Ad esempio, il modo di vestirsi. Gli olandesi sono un popolo che quando escono (popolo = tante persone, ricordiamolo per i nuovi lettori che non sono ancora familiari con la poetica del blogghe) ci tengono a vestirsi a modino, con le cosine giuste, gli accostamenti azzeccati etc. Lo si deduce anche dai tanti negozi di vestiti bellini che ci sono qui. Questo trend è, però, confinato all'esterno dell'High Tech Campus di Eindhoven, o, quanto meno, all'esterno dei dipartimenti di ricerca. Si vedono delle cose allucinanti, ad esempio:

  • stessa camicia per tutta la settimana lavorativa lunedì t/m (che vuol dire "da a estremi inclusi" in olandese) venerdì per un brasiliano trapiantato prima in Germania e ora qui;
  • camicia a righe verticali con gilet a rombi per un cinese che, porino, c'avrebbe anche dei bei vestiti, ma li accozza a cazzo di cane, come nel caso riportato;
  • felpone sportive cheapissime rigorosamente nere da uomo per la polacca con cui condivido, temporaneamente, l'ufficio (colpo di classe: pantofole sanitarie che tiene lì in ufficio e che non manca di indossare puntualmente ogni giorno dal momento in cui arriva al momento in cui riparte)
  • ma quello che all'unanimità è stato eletto dalla redazione come must della stagione autunno/inverno 2010-2011 è la camicia sotto alla polo a maniche lunghe, con tanto di doppio colletto, per il caro Paul Damink, che ha appena lasciato il gruppo: caro Paul ci mancherai!
Per lo meno anche in questo c'è una comodità: per quanto mi possa vestire a caso la mattina, sarò sempre nella top 3 dei più eleganti!