domenica 18 settembre 2011

Giornata Mondiale della Gioventù (sì, chiappala!)

Ultimo rigurgito di gioventù in quel di Madrid ad Agosto (errore da non ripetere caro Benny: te c'avevi l'aria confezionata, ma noi siamo stiantati di cardo): Giornata Mondiale della Gioventù (appunto). Ora che siamo tornati, ed abbiamo rivestito i panni della senilità che oramai ci si addicono di più (ammesso che in altri tempi possa essere stato diverso), un po' di considerazioni, alcune entusiaste, molte polemiche (come da tradizione). Tralasciando l'organizzazione (che ha tralasciato parecchio a desiderare, anche se principalmente negli ultimi 2 giorni, quelli della veglia) e tralasciando la ghigna dei madrileni (magari per la storia della protesta contro il Papa, che discuteremo più avanti, ma tant'è) e il loro analfabetismo (che nei ristoranti del centro di Madrid i camerieri non parlino inglese pare strano), alcuni aspetti sono stati ganzi, tipo i pasti coi buoni nei ristoranti, la metro avanti abbestia etc. Ma visto che non di solo pane (e metro) vive la redazione, veniamo agli aspetti salienti.
Innanzitutto, in 5 giorni di GMG non siamo riusciti a ricevere il Sacramento. Pare una cazzata, ma è andata così. Il primo giorno, alla Frazione del Pane dopo la catechesi, erano finite le ostie (il Corpo di Cristo non finisce mai, ndr). Il secondo e terzo giorno Celebrazione Eucaristica saltata in pieno, pensando che tanto fra sabato e domenica avoglia a messe (errore di valutazione e di pigrizia), sabato la Santa Messa non c'era, e domenica mattina niente Corpo di Gesù a causa dei temporali della notte precedente che avevano sventrato i vari tabernacoli preparati a giro per il campo. Mah, anche questa s'è capita poco, e, più in generale, ha saputo di scusa. Come diverse altre cose. Il sospetto viene quando, in nome della sicurezza presuntamente minata dalla protesta degli spagnoli per cause dubbie (nel seguito una trattazione più approfondita), si riduce il percorso del Papa tra la gente il giovedì, si obbligano i pellegrini a rientrare prima di mezzanotte le sere successive, si diffondono messaggi preoccupati. Oppure quando alla spianata di Cuatro Vientos la divergenza del numero dei partecipanti ha indotto l'organizzazione a misure restrittivissime, con il risultato che di 100 cestini che spettavano al nostro gruppo ce ne siano toccati 30, e in modo diciamo rocambolesco (in realtà non è che ci siano toccati, ma qualcuno del gruppo (God bless) hanno scavalcato le reti sbertucciando la sorveglianza (budello di su ma)). Ma ce n'era davvero bisogno, oppure è stato un modo comodo per gestire la marea di persone con meno problemi e con meno risorse? E' un pensiero così, che lascia il tempo che trova, però le misure sono sembrate eccessive, e hanno reso la vita facile all'organizzazione e difficile ai pellegrini.
Un ulteriore by-product dell'allarmismo è stata l'autoelezione a martiribarracrociati di alcuni pellegrini. Martiri perché molti si sono sentiti violentati nella loro libertà di professare un credo antitetico rispetto al loro comportamento (v. nel seguito), crociati perché tutti cercavano una reazione non manualmente violenta ma ugualmente favorente lo scontro quanto meno verbale, in modo antitetico rispetto al loro credo (v. sopra). Qualcuno proponeva di ignorarli, qualcuno addirittura di mettersi a cantare, nessuno che abbia suggerito di amarli o di pregare per loro, come vorrebbe l'insegnamento di coso, lì, Gesù. Mah.
La protesta, si diceva. I rumours ufficiali la imputavano alla marea di soldi spesa dal comune di Madrid e, di conseguenza, non spesa per altro. I rumours sottobanco davano la colpa all'anticattolicesimo e anticlericalismo della Spagna più moderna. Peccato non aver avuto notizie un po' più ufficiali, magari colpa nostra nell'aver cercato poco. Certo è che 1.5 (± 50%) milioni di persone per una settimana a Madrid 2 soldini li avranno pure portati (fanno 30 milioni di pasti, 1.5 milioni di abbonamenti metro settimanali etc.). Ma le cifre ufficiali non le sappiamo, quindi non ci permettiamo di giudicare. Certo è che un minimo di sorrisi da e per i madrileni non avrebbero guastato punto.
Per le catechesi siamo stati fortunati, visto che eravamo (noi come Gioventù Francescana d'Italia: la redazione in sé c'entrava poco, ma ormai la redazione in sé non conta più una sega) insieme alla Diocesi di Roma, e figuratevi se non gli mandavano gente seria, anche se conservatrice. Monsignor Forte (arcivescovo di Chieti-Vasto, teologo di livello, mi dicono (me lo dice Giulio, quindi è vero)): essenziale, pochi fronzoli, citazioni in almeno 5 lingue, logica di ferro. Spacca. Monsignor Fisichella (questo lo conoscete, se non altro per alcune dichiarazioni incaute): era partito male roba, citando il sofisma di Pascal (addirittura letta una traduzione del passo originale) in accezione rivelatrice (una nostra domanda ha parzialmente riaggiustato il tiro (in quanto affermazione, non domanda)), con immancabile applauso entusiasta quanto acritico, ma poi si è ripreso sul concetto di fede. Monsignor Vallini (vicario del Papa a Roma): partito benissimo, catechesi accorata e ispirata anche se off-target rispetto al tema originale della testimonianza. Le risposte alle domande sono state abbastanzaguasiparecchio populiste, con tanto di sospensione alla fine della frase ad effetto in attesa dell'applauso. In complesso buono, comunque, dai, un po' di seme è stato gettato.
E il poro Benny!? Il primo discorso, quello di giovedì, è stato forte. Un ragionamento unico, intero, lineare, spietato, culminato con l'espressione "Verità senza aggettivi". Boia deh, peso. Si attendevano scintille per l'omelia della domenica, invece lì siamo rimasti più in superficie. Parole di incitamento, non troppo di più. Comunque complimenti per la scelta del Vangelo, come a dire: "L'ha detto anche Gesù: chi è il successore di Pietro? Quindi a chi dovete dà retta? Bravi!".
Per finire on qualcosa che c'entri apparentemente il giusto, una citazione del discorso di commiato di Tettamanzi da vescovo di Milano. Una sottolineatura particolare sulla definizione di Chiesa che auspica il buon Dionigi: "Una Chiesa trasparente, che sia madre e maestra, comprensiva ed esigente, pronta solo a servire e non a conquistare". Capito martiribarracrociati!?

giovedì 21 luglio 2011

Così si cambia la storia

"Per rispondere a ciò, deve essere notato che quella dottrina che ho esposto sulla rifrazione e sui colori consiste soltanto in certe proprietà della luce, trascurando le ipotesi mediante cui si devono spiegare quelle proprietà. Il modo migliore e più sicuro di filosofare, infatti, sembra essere, in primo luogo, quello di ricercare con accuratezza le proprietà delle cose e di stabilirle mediante esperimenti, e quindi, in seguito, di rivolgersi alle ipotesi per la loro spiegazione. Infatti le ipotesi si devono soltanto applicare alla spiegazione delle proprietà delle cose, e non usare per determinarle, se non in quanto possano offrire a conferma degli esperimenti. E se qualcuno può fare una congettura sulla verità delle cose soltanto dalla possibilità delle ipotesi, non vedo in che modo si possa stabilire qualcosa di certo in alcuna scienza, dal momento che è sempre lecito escogitare ipotesi completamente diverse, che sembreranno procurare nuove difficoltà. Di conseguenza, qui è stato ritenuto opportuno tenersi lontano dalle ipotesi, essendo un modo improprio di argomentare, e si considererà in astratto la forza dell'obiezione, affinché riceva una maggiore e più completa risposta generale."

Dalla lettera di Isaac Newton a Oldenburg per Pardies del 10 giugno 1672

sabato 16 luglio 2011

Alienazione postmoderna

Chissà se Carlone Marx ne sarebbe contento? In fin dei conti, il mercato del lavoro per noi giovani highly educated e talented (ormai tanto la prima qualifica fa poca selezione) prevede opportunità di livello, mobilità geografica , flessibilità (solo in Italia è una parolaccia, e la colpa di questo non è certo di chi la subisce). Prevede completa partecipazione al progetto. Prevede il coinvolgimento personale. In breve, riconosce l'alienazione come un pericolo. Come Carlone, appunto. Del resto, un lavoratore più soddisfatto, più consapevole alle dinamiche globali di quello a cui partecipa con il proprio lavoro è più produttivo. Ecco, magari Carlone non intendeva proprio questo. Diciamo che la produttività non ottimizzata non era il pericolo derivante dall'alienazione che più lo turbava. Invece, lo spirito dei nostri meravigliosi impieghi è l'imprenditorialità, l'esatto opposto dell'alienazione. Commitment. Stimolante, eccitante, soddisfacente (se sei forte). Ma qual è il prezzo? All'inizio è la mezzora in più, poi la controllatina alla mail di domenica, poi si va a finire nei corsi di "Work-life balance". Sì, perché lavoro e vita si fondono, quindi diventa difficile distinguere. Come per un imprenditore appunto. Il vantaggio è evidente per tutti e due: l'impiegato è più stimolato e responsabilizzato, quindi lavora più volentieri, l'azienda ha impiegati che lavorano più volentieri perché committed, quindi più produttivi. Si tratta solo di trovare questo work-life balance. La redazione sta provando, con ottimo successo, a trovarlo senza corsi. Il problema è che non per tutti è così. E un altro problema, è che poi l'enterpreneurial mindset si radica, fino ad impossessarsi di ogni aspetto della vita, fino alla vita stessa. Non sono scenari bui e lontani. Sono quello che ci è richiesto per avere successo. E non è che la redazione ieri sera ha mangiato troppo e oggi c'ha di questi rigurgiti improvvisi. E' la ricetta per avere successo. Lo dice, fra i tanti, anche un articolo dal titolo self-explanatory: The Start-Up of You. La posizione della redazione è chiara: tutto questo è tremendamente affascinante (ricordiamoci che l'alternativa, talvolta, è questa (boia deh, la curtura!)), a patto di riuscire a separare il lavoro dalla vita. Sennò ci si aliena dalla vita, ossia, si agganghisce (i termini stranieri vanno sempre messi in corsivo). La domanda che ci pone Lech Walesa è :"Siccome possedete così tanti computer, perché non li utilizzate per la ricerca delle felicità?" (ora, va bene la cultura, ma questa l'ho letta su Wikipedia subito dopo essere tornato dal matrimonio di Guido a Varsavia, dove mi sono imbattuto in questo:
Ah, il profumo della Rivoluzione! (Ovviamente la citazione di Walesa magari non c'entrava troppo, ma ci serviva un ponte per pubblicare questa foto).)
Ora tutti questi gran discorsi, ma poi quando per lavoro ci si imbatte in un video che descrive lo scannatoio del futuro, beh, si capisce che un po' ne vale la pena. (Via, giù, una cazzata per spezzare il ritmo ci stava bene).
Una polemica retroattiva e gratuita poi basta. All'indomani di questi benedettissimi referendum (a cui la redazione non ha votato in quanto non ancora iscritta all'AIRE, ma che almeno sono serviti, tramite il senso di colpa, a spingerci ad iscriverci all'AIRE medesima, come sempre all'unanimità), sulle versioni online dei giornali preferiti da voi giovani compagni (o amici? ma io so una sega...) si leggevano editoriali di questa fattura (ma non era il solo con lo stesso tono). Si cavalca l'onda di del Popolo della Rete parlando una lingua diversa, senza conoscerlo e senza l'intenzione di conoscerlo. Si invoca la politica del "Mi piace" e del "Parteciperò" (sic!), scambiandola per impegno. Almeno Beppe Grillo si fa capire dalle persone di cui parla.


domenica 10 aprile 2011

Frammenti di vita a livello base

Sense and Simplicity: questo è il nostro brand, questo è ciò che abbiamo in mente quando scriviamo un'invenzione, quando progettiamo un esperimento, quando presentiamo i frutti del nostro lavoro a chi li trasformerà in vaìni. Poi, tutto a un tratto, scopriamo che è tutto vero, che quello che facciamo migliora la vita delle persone (quantomeno, della redazione di questo blogghe): this is what I call sense and simplicity! Un'idea apparentemente banale, idiota, eccheccivòle, lo potevo inventà anch'io. Ma intanto lo abbiamo inventato noi. L'autorasatura non sarà più la stessa. Non è più la stessa.
Ma lavorare da Filippi non è solo questo. Lavorare da Filippi significa entrare in contatto con gente di tutti i tipi. Anche con gente che sembra provenire da un'altra epoca, o da un altro mondo. Parliamo di un tesista il cui supervisor condivide l'ufficio con la redazione. Ogni volta che viene per cercarlo non riusciamo ad esimerci dall'osservarlo: un comportamento di un'educazione e di una gentilezza che nella rat race della superficialità di noi moderni risultano tanto fuori moda quanto sublimi. Bussa prima di entrare (non tutti lo fanno). Fa capolino con i suoi occhialini perfetti, la sua divisa da parte, il maglioncino con la camicia inappuntabile. A occhio dovrebbe essere indiano, pachistano o giù di lì. Entra. Indipendentemente dalla presenza del suo supervisor, la prima cosa che fa dopo essere entrato è cercare il mio sguardo per sorridermi e salutarmi con amicizia, rispetto (avrà 2 o 3 anni meno di me al massimo), sfiorando l'affettazione ma rimanendone lontano anni luce. Addirittura si ferma, non mi saluta mai camminando. E non ho mai fatto niente per lui, di più, il nostro rapporto non è mai andato oltre questo saluto. Se poi il suo supervisor è lì, gli si accosta con una riverenza che andrebbe mostrata nelle scuole di oggi agli alunni legittimati a dare del tu ai professori. Quando gli si rivolge, antepone sempre un "Doctor" al suo nome. Unheard of. E se non lo trova, provo ad aiutarlo: "Shall I tell him that you've dropped by?" L'unica risposta che ottengo è sempre: "No, thanks. It doesn't matter. I will come back later." Ha paura di disturbarlo. Umiltà.
I tempi sono ormai maturi per una nuova campagna del blogghe: "Sughi pronti... per il secchio!" E' stata una folgorazione, eravamo intorno al 20 marzo. E' venerdì, siamo tornati tardi dalla palestra, ci vuole una cena veloce e senza carne (la Quaresima esiste anche quassù). C'ho quel sugo pronto che non ho ancora provato con zucchine e peperoni. Magari è bono. Scolo la pasta con tempismo collaudato (il confine fra dura e scotta è labile, l'intervallo è dell'ordine dei secondi), e la condisco. Il profumo non promette benissimo. Il gusto. però, è notevolmente peggio delle promesse. Una fatìa bestia per finì un piattino misero di pasta. E' stata una cena travagliata, ma alla fine ha portato ad una decisione netta: mai più sughi pronti. In questi primi mesi orange ne abbiamo fatto un uso estensivo (mangiamo poca pasta, ma quella poca sempre col sugo pronto), ne abbiamo trovati di quasi decenti (quello ai funghi, quello al salame), ma soprattutto di improponibili (la lista sarebbe lunga). Mancava la scintilla, l'episodio. Proprio oggi ho finito l'ultimo sugo pronto, un pomodoro, aglio e pecorino che non rientra nella categoria dei più infami. E domani sera carbonara. Un paiolo da polenta.
Per finire, un paragone populista fra due notizie lette lo stesso giorno alcune settimane fa. Eto'o contesta una multa da 39 euro per divieto di sosta vs. Noureddine Adnane, ambulante regolare marocchino morto dopo essersi dato fuoco perché disperato per i continui controlli (e, pare, soprusi) da parte dei vigili di Palermo. Non ci sono giudizi da dare nei confronti di nessuno. Ma le due notizie in fila stridono forte.

domenica 27 febbraio 2011

Sia ben inteso, ogni riferimento...

Sia ben inteso ogni riferimento è puramente casuale (premessa dovuta per questioni legali) (chi ha colto la citazione noterà la voluta mancanza di un "non" fra soggetto e verbo, chi non l'ha colta prenda pure per buona l'affermazione) (però studi un poìno!).
Prendete un'istituzione di ricerca industriale nordeuropea come ce ne sono poche al mondo. Prendetene un gruppo di una quarantina di persone. Ingegneri, fisici, matematici, ma uomini. Donne biologicamente poche, ontologicamente ancora di meno.
Prendete una studentessina di psicologia infantile prossima alla laurea abbastanzaguasiparecchio discreta e inseritela nel contesto come tesista. Aggiungetele una salda autoconsapevolezza del suo status di topa, un ardente desiderio di cattura dell'attenzione e una minigonna ascellare a pieghe svolazzanti di tessuto tipo kilt scozzese, con tanto di calze nere fine e stivale aggressivo tacco alto.
La redazione intende lasciare alla vostra immaginazione la reazione. Altro che la curva.
Ma a proposito di curva, dopo l'acquisto della tazza ufficiale della settimana scorsa (ogni volta che entro al PSV fanstore butterei via il borsello perché rischio di comprare quella meravigliosa quanto inutile e costosa maglia di riserva del PSV, meglio moderare l'investimento e rifugiarsi in una tazza), da ieri tutta la redazione è ufficialmente tifosa del PSV, dato l'acquisto della tessera del tifoso del PSV. Questo infatti è l'unico modo per avere i biglietti per le partite. Peccato però che non arriverà in tempo per gli ottavi di finale di Europa League contro il Glasgow Rangers, bisognerà trovare l'escamotage. A dire la verità l'ingaboio ci sarebbe, ossia il "silver package" riservato agli stranieri, come mi ha detto tutta felice la tipa della biglietteria ieri. Biglietto per la partita + voucher da 20 euro da spendere al PSV fanstore (e ce n'è di robina ganza) + voucher da 10 euro per snacks & drinks da comprare dentro lo stadio durante la partita, il tutto al modicissimo prezzo di 36 euro! Boia deh, strapoo! Signorina, solo 36 eurini tutto questo? "Sì, è molto conveniente vero!?" Maiale! Come si fa a comprallo? "Va riempito un modulo su internet" Lesto a casa a riempire il modulo, dove però c'è scritto che il tutto costa 63 euroni, il budello delle vostre madri! Domani ci attiveremo insieme con mastro Tucci per trovare un simpaticissimo collega dotato di club card. A chiosa direi che "Eendracht maakt macht", ossia, "l'unione fa la forza", come recita il motto di noi Boeren (soprannome di noi tifosi del PSV che significa "contadini" viste le nostre origini rurali). E direi questo proprio perché ci serve da ponte per il prossimo argomento: il corso di olandese!
Dopo una lunga attesa (soprattutto da parte dei colleghi olandesi, che non facevano che chiedermi quando avrei iniziato questo benedetto corso, pare che facciano così con tutti coloro che non parlino la loro lingua), questo benedetto corso è cominciato davvero. Una lezione da 2 ore la settimana (sembra poco, ma almeno ho tempo di studiare nel weekend, perché c'è da studiare) corso individuale (un si frigge mia oll'acqua), il docente arriva direttamente all'ufficio (deh no, vai). Il docente, per l'appunto: sulla trentacinquina, capello lungo biondo, anelli da metallaro, buzzetta da alcolizzato. Però è fichissimo, mi insegna strabene, tifa Feyenoord (cosa appurata ben prima di aprire il libro nella prima lezione)(viene da Rotterdam, anyway), è informatissimo sull'Inter e sul calcio italiano in generale, e spera che gli lasciamo il giovane Castaignos in prestito la prossima stagione per farlo maturare. Fatto sta che comincio a sostenere le prime conversazioni interessanti con i colleghi (oramai tutti sanno che il mio nome è Luca, che abito in Havensingel 5, che sono italiano, etc.) e con le cassiere del Jumbo. La svolta.
Lestbatnotlist, eccovi questo simpatico dato antropologico. Roba da far impallidire i bei tempi di via della Scuola 8. Ci farebbe piacere ricevere qui in redazione commenti da parte di esperti del settore di nostra conoscenza. Non ci sono più i giovani di una volta.

domenica 16 gennaio 2011

Tramstraat 23, ovvero del labile confine fra leggerezza e vacuità nei rapporti umani

Tramstraat 23 è un indirizzo ben noto nell'underground erasmusbarratesiinfilippi di Eindhoven. Corrisponde ad una delle tante student house della Città della Luce, ossia casermoni da 10-20 camere in cui convivono Erasmus e tesisti della Filippi. Aggiungete un bagno per ognuno dei 3 piani, 2 cucine di cui una piccola ed ecco pronto il paradiso del giovane: gente che viene e che va (con relativo saccheggio delle camere), feste troppo affollate per la volumetria degli spazi comuni e sudicio a palate. Vi si trovano persone di tutte le razze: svizzeri, turchi, olandesi (molto solitari, quasi a riproporre l'antropologia xenofoba delle città unversitarie italiane, dove pisani (o senesi) e terroni vivono fianco a fianco riuscendo a non mescolarsi), negroni non meglio definiti, Albe, indonesiani come se piovesse (che fanno comunella per conto suo e friggano 'gniosa (per fortuna al primo piano nella cucina più piccola)) e molti altri.
Conoscere persone in questi posti è facile, basta averne voglia e le occasioni pioveranno. Si comincia con una cena, una birra (l'acqua a Tramstraat si usa per lavare i piatti, e non è che li lavino tanto spesso) e si diventa intimi. Questo modello non potrebbe mai funzionare nelle nostre città di provenienza, perché (quasi sempre) mancherebbe un ingrediente fondamentale: la mancanza di riferimenti (in redazione c'era chi proponeva il termine "solitudine", ma poi c'è sembrato troppo forte). Abbiamo bisogno di qualcuno che non solo ci salvi dal silenzio, ma che possiamo promuovere sul campo ad "importante per me". E la relazione è biunivoca, in quanto noi stessi abbiamo bisogno di questa qualifica per instaurare la condizione di empatia che ci permette di provare la morbosa soddisfazione derivante dalla raccolta di confidenze e dalla profusione di consigli.
Tutto questo è maledettamente giovane e divertente. Fino a quando non scappa di mano.
Ci viene difficile ammettere a noi stessi che questo tipo di rapporti sono costruiti sulla sabbia, non sulla roccia della conoscenza graduale e pluriennale di cui sono fatti i rapporti del mondo reale. Le amicizie Erasmus assomigliano alle amicizie feisbucchiane. E allora ecco che ci si dimentica che le persone conosciute in un contesto temporaneo e accelerato hanno una storia lenta la cui conoscenza approfondita richiede tempo. E' come nei rapporti d'amore: la conoscenza vera viene col tempo. Non è che non possa arrivare, anzi. Serve tempo però.
Ed ecco che invece a Tramstraat non c'è tempo, ma ci sono necessità, quindi persone conosciute un mese fa diventano i nostri riferimenti. Poi succede però che possa verificarsi un momento di bisogno vero, una difficoltà, oppure una gioia grande, perché no un amore che nasce. E lì intorno a noi ci sono questi sedicenti riferimenti. Che però non sanno chi siamo. Ed ecco che la relazione è sbilanciata, mancano le competenze necessarie.
Detto questo, le amicizie Erasmus sono tremendamente divertenti e arricchenti. Si conoscono persone completamente culturalmente diverse e si conoscono da zero, condizione che sposta la learning curve nell'origine, laddove la pendenza della curva dell'arricchimento è più ripida. Bisognerebbe solo riuscire ad astrarsi dalla condizione attuale e riportare le cose al loro giusto ordine. Che non vuol dire che non si possano incontrare persone che rimarranno per la vita, ma che le promozioni si guadagnano col tempo, non con l'emergenza.

A dicembre abbiamo completato la nostra stagione perfetta (la Supercoppa Europea finita nella bacheca del Vicente Calderon non può macchiare la cavalcata trionfale) vincendo la coppa del nonno. Abbiamo affrontato avversari onestamente improponibili, per quanto pittoreschi, ma il pallone è pur sempre tondo, come diceva il mi nonno. Rimaniamo dell'idea che questa coppa valga poco, che i successi veri siano stati altri, ma perderla sarebbe stato delittuoso. Ma lo spunto ce lo dà ancora una volta lui, lo Special One, con questa dichiarazione. Uno di noi. Anche da questo (oltre che dai risultati) si vede la differenza da gente che frettolosamente dichiarò di essersi sempre sentita bianconera anche quando era "da altre parti" (a fare casini, ndr).
Un piccolo appunto alla dirigenza nerazzurra, alla quale dobbiamo comunque eterna riconoscenza: perché per sostituire Benitez (decisione sacrosanta, mai piaciuto né alla redazione né all'ambiente nerazzurro) si è scelto un tecnico assolutamente inesperto, sebbene persona di squisita intelligenza, e bandiera milanista per 15 anni? C'era libero l'Uomo Ragno, il ragazzo della Curva Nord, la nostra bandiera Walterone Zenga, che nel frattempo è diventato un tecnico di tutto rispetto e di comprovate capacità: perché non concedere a noi tifosi questo sogno? Speriamo che i nostri dirigenti ci sbugiardino, negli ultimi anni non è stato sbagliato quasi niente, del resto. Un fatto resta: FORZA INTER!

domenica 24 ottobre 2010

Esperimento sociale

Come ampiamente previsto, la ripetizione dell'esperimento sociale ha riscosso un gran successo e ha sollevato un vespaio di polemiche da parte di coloro che ne erano a conoscenza. Ma spieghiamo prima ai neofiti di cosa si tratta. L'esperimento sociale è stato progettato per la prima volta qualche giorno prima del mio VERO compleanno (27 Marzo) e consisteva nello spostare il compleanno facebookiano di qualche giorno per vedere chi mi avrebbe fatto gli auguri. Lo scopo non era vedere chi si ricordasse il mio compleanno correttamente, giammai, bensì mettere a nudo la superficialità con cui molti di noi (si legga "voi") si approcciano ad augurare ad un conoscente un anno di gioia e prosperità in corrispondenza del giorno che dette i natali al conoscente suddetto. Messa così parrebbe una cosa seria, degna di attenzione. In realtà, l'avvento del cellularebarraorganizer prima (chi non ha mai messo un promemoria per ricordarsi di quel compleanno che tutti l'anni me ne dimentico alzi la mano) (tutti in redazione abbiamo la mano alzata al momento), e, soprattutto, di facebook poi, ci hanno sollevato da qualsiasi responsabilità e fatica mnemonica, trasformando la fatidica parola (nelle varianti più sfumate) nella più classica delle sovrastrutture comunicative.
I risvolti sono molteplici. Ci sono compleanni, anche importanti (ovviamente le persone, non i commpleanni) che effettivamente qui in redazione non ci ricordiamo mai, nonostante il proposito sinceramente ripetuto ogni anno, e che facebook ci ricorda con immancabile puntualità. In questo caso l'ausilio telematico è più che giustificato. Ci sono poi quelle persone a cui desidereremmo fare gli auguri nel giorno opportuno, che però, purtroppo, non conosciamo, vuoi perché la conoscenza è recente, vuoi perché non è mai capitato di parlarne, ci pole sta. Anche in questo caso l'ausilio telematico è più che giustificato.
Ma c'è un caso evidente, numericamente forte, in cui la redazione all'unanimità (ça va sans dire) non ammette giustificazione per l'ausilio telematico, e riguarda l'atteggiamento di chi apre facebook per vedere se qualche bel fio ha commentato la sua foto in posa plastica in disco con l'immancabile drink dal colore improbabile, poi si accorge che nell'angolo in alto a dx una dicitura fredda suggerisce che oggi è il compleanno di coso, che ho aggiunto agli amici un annetto fa ma che in realtà non so manco che fa nella vita e non gli ho mai postato niente in bacheca (qualche anno fa avremmo scritto "e a cui non ho mai rivolto la parola", ma i riferimenti si evolvono).
E qui arriva implacabile la censura della redazione.
Ovviamente non emettiamo giudizi di merito (o, meglio, ovviamente ne emettiamo, ma ce li teniamo ben stretti), ma vi invitiamo ad un rigoroso esame di coscienza.
In realtà ci sono ragioni ben più stringenti per il disegno e l'attuazione del disegno sperimentale:
1. Pubblicità gratuita al blogghe
2. Per fare l'imbecille
La prima ripetizione sperimentale era stata in data 5 Aprile, ma lì ci fu un errore marchiano in sede di progettazione dell'esperimento: il 5 Aprile era Pasquetta, giorno in cui in pochi accendono facebook, preferendo un bel costoliccio cotto bene all'aria aperta o un conigliolo cucinato alla brace seguendo alla lettera le linee guida diramate dal WWF sull'etica del trattamento degli animali da cucinare (chiedere ad Alessandro Carnevali per una consulenza tecnica sulle linee guida). Urgeva, pertanto, una ripetizione, e il giorno ideale è stato individuato in domenica 10 ottobre.
Da urtimo, ci preme ringraziare colui che ha dato un contributo fondamentale alla buona riuscita dell'esperimento in entrambe le occasioni, il buon Albe. La prima volta, mostrando il suo gradimento per gli auguri del poro Maurizio (sappiamo bene a quale delle 3 categorie sopraelencate lei appartenga, ing. Vaccaro, non si preoccupi), la seconda, buttando una secchiata di benzina sul fuoco col suo "Come si festeggia?". Grazie, di cuore.

domenica 10 ottobre 2010

Messa in inglese (e molto altro)

Il giorno successivo alla pubblicazione del post precedente, il magico Tom Falck (sì, proprio lui, il tedesco che mi fece il colloquio presentandosi con magliettona color sabbia con evidente scritta "adidas" sul petto e sandalo di gommaccia dei cinesi con immancabile calzino) o non ti si presenta con una polo con sfondo bianco baroccamente adornato di un motivo grigio-verde-vinaccia, il tutto in tinte molto spente: degna dei miei migliori pigiami! No, amore, forse anche peggio, guarda.
Bimbi, la Messa in inglese è un'esperienza! Non tanto per la lingua, alla fine si capisce tutto, è abbastanza uguale alla Messa in italiano, quanto per alcuni dettagli che non sono sfuggiti all'occhio avido di spunti della redazione. Quindi il fatto che sia in inglese alla fine non è un parametro importante. Non avremmo dovuto dire "Messa in Inglese" ma "Messa ad Eindhoven". Vabbè. Quel che ho scritto ho scritto (questa è una citazione, ma in pochi mi aspetto che la colgano) (tanto per cambiare).
La prima cosa che fa il prete, canuto esemplare di mezza età dallo sguardo tra il furbo e l'allucinato, tipico degli stupratori di bambini, è quella di invitare i bambini più piccoli a seguire un paio di catechisti giovani sul retro della Chiesa dove... fanno dei disegni sul tema della Parola del giorno. Speriamo. Diciamo che, contestualizzato, l'inizio è evocativo. Fatto questo, il nostro comincia una breve introduzione alla liturgia del giorno con un "Bradesnìsters!" sbiascicato ma fiero e impostato. Tutte le sue parole sembrano pronunciate da un attore, il top si raggiunge quando sostituisce il nostro preghiamo con uno scanditissimo "Let - Us - Pray!", dove i trattini indicano delle pause che la scrittura può solo far intuire. Un bel personaggio, insomma.
Parlando di personaggi, non possiamo dimenticare Roberto, il chierichetto biologicamente 20enne ma 60enne nell'armadio. Ha origini spagnole e uno strano sguardo assente. L'ho conosciuto la prima domenica, dopo la celebrazione. Da lì ci salutiamo ogni volta, una volta ha anche buttato là una battuta agghiacciante, con tanto di ammiccamento finale, legata a una cosa che aveva detto il prete durante la Messa. Mah. Diciamo che se il prete fosse davvero un pedofilo, avremmo trovato la vittima. E, secondo me, tra poco si trasformerà in carnefice a sua volta. Quello sguardo assente un mi garba per niente.
Il coro dei ragazzi del gruppo internazionale (tutti neri e un indiano) è abbastanza strampalato, ma si vede che ci provano con impegno. Bravi deh, mi state simpatici. Ho anche cominciato a frequentare gli incontri dopo la Messa (ci sono 2 volte al mese). Dai, c'è di peggio, la discussione di oggi sulla figura di Maria è stata proficua. Avanti così. Tra l'altro ho scoperto che "Oh happy day!" è una canzone di chiesa. L'hanno cantata l'altra domenica all'offertorio. In realtà i canti li scelgono un po' a cazzo, nel senso che non è che facciano tanto caso ai vari momenti dell'Eucarestia, né alla Parola del giorno. Ma tanto anche in altre parrocchie ben più quotate fanno lo stesso, quindi non facciamo tanto gli stintignosi. E' evidente che non cito esempi per evitare dispute coniugali. Ma tanto sai di cosa parlo.
Ma la ciliegina arriva alla fine: dopo la Messa, cascasse il mondo, tutti si ritrovano in una stanzetta e c'è un piccolo rinfreschino (caffè, the, acqua, qualche pasticcino) e la gente sta lì a chiacchiera una mezzoretta. Ganzo deh. All'inizio ero scettico, dall'alto del mio puritanesimo, invece fanno ma bene, fa Chiesa abbestia.
Prima di gettarmi in una riflessione controversa e inspiegabile (nel senso che non pensiamo di riuscire a spiegarla, tanto più che ancora non è completamente definita neanche in seno alla redazione stessa), una notizia esilarante. Gli fa una sega ir contrappasso ai cauboi cileni, deh. La chiosa del presidente dell'organizzazione (v. la fine del trafiletto a destra) è poesia.
La riflessione, dicevamo. La scelta del ragazzo/a, compagno/a, fidanzato/a, marito (bravi, non ci siete cascati) /moglie è abbastanza cruciale per la vita, ed è altrettanto complessa e sfaccettata. Bisogna considerare il carattere, la compatibilità, i valori, l'aspetto fisico e tutta un'altra serie di cose. Bisogna inoltre considerare che sarebbe consigliabile che l'altro/a fosse consenziente, ma questo è un altro discorso. Nonostante ciò, l'unica classificazione applicata in modo rigoroso riguarda i gusti sessuali: si può essere etero o gay (la trattazione dei bisex, meglio noti come "tutto bono", esula dagli scopi di questo testo, la bieca esaltazione del piacere organico non è degna di essere analizzata). Stringi stringi, la prima selezione si fa in base al gusto sessuale. Poi, per carità, non mi verrebbe mai in mente di stare con una persona cattiva. Ma di sicuro non con un uomo. Poi, per carità, avrei difficoltà a stare con una persona che non mi attrae fisicamente. Ma di sicuro non con un uomo. Non ho una conclusione intelligente per questa riflessione. Rimane aperta, così, ma può essere uno spunto per una discussione, oppure può continuare a rimanere lì nel mondo delle riflessioni sterili. Del resto le riflessioni sterili hanno una loro dignità intrinseca in quanto esercizi del pensiero. (Boia deh).
Non perdetevi il prossimo post, che si preannuncia scoppiettante. Tags: strutture, comunicative, esperimento, sociale.

domenica 19 settembre 2010

Comunicazione

I due mesi precedenti alla partenza alla volta di questa terra umida (in realtà in questi giorni non è che sia piovuto tanto, ma non lamentarsi del clima olandese è decisamente out) e fredda (boia deh, diaccia è diaccia davvero, venerdì sera, alla mitologica festa in Tramstraat 23 (casa di Albe, ci saranno state 100 persone(corsi e ricorsi storici)) il termometro indicava una sola cifra a sinistra del separatore decimale) sono stati ossessivamente caratterizzati da 2 parole e un segno di interpunzione: "E Lucia?"
Roba da chiodi: te ne vai a vivere a fanculo fra pochi giorni, lo annunci tutto gasato alle persone che ti circondano, e tutto quello che ottieni (da tutti, nessuno escluso!) è una domanda sulla vita di Lucia. Ma proprio non ve ne frega niente di quello che pensa la redazione? Ma proprio non vi interessano i motivi che ci hanno spinto a scrivere post dal "buco del culo del mondo" (citazione testuale della vostra amata beniamina)?
Da una parte questa cosa mi ha fatto molto comodo, perché, in molti casi, mi sono potuto tenere per me le paure, le ansie, le aspettative, l'entusiasmo per questo grande passo. Sai che paio di palle raccontare a tutti il guazzabuglio del proprio cuore umano fino a farlo diventare stereotipo, svuotandolo del pathos tempestoso di quei giorni e non ancora pienamente estinto!? Tra l'altro, anche la vostra amata beniamina non è che fosse entusiasta della cosa, visto che il guazzabuglio spiattellato era il suo.
In realtà, dopo una lunga riunione preeditoriale, la redazione è giunta a questa conclusione: non è possibile che a nessuno degli interpellati fregasse una beneamatissima ceppa di Luca e del suo cambiamento, vista la dimensione del campione ciò sarebbe statisticamente improbabile (o, di tutti i mi amici ce ne sarà almeno uno, che cazzo, che si interessa un poìno, o no!?). La realtà è che il nostro cervello interpone delle sovrastrutture comunicative fra le nostre reazioni a caldo e la logica. E' un impulso a bypassare la questione nodale in cerca del dettaglio pruriginoso. E' un impulso a manifestare una reazione che, sbagliando, si ritiene attesa dall'annunciatore prima di aver focalizzato il significato dell'annuncio medesimo. E' una reazione inconsciamente egoista, insomma.
La conferma validante la teoria è giunta in redazione qualche giorno fa dal racconto della magica Francesca Rossi (nome di fantasia per garantire la privacy; l'idea iniziale era di scrivere il suo vero nome e poi scrivere "nome di fantasia", la privacy sarebbe stata garantita lo stesso, ma non rischiamo). "Sai mi sono lasciata", ci dice lei, così come ha fatto con altre decinaia di persone in questo periodo. Ebbene, tutti, nessuno escluso (vabbè, la redazione stava già maturando questa teoria, quindi non fa testo se non è caduta nell'errore) le hanno risposto con il più gratuito dei "mi dispiace". Il punto, infatti, è che Francesca è contenta come una Pasqua di essersi lasciata perché ha capito che quel rapporto non la rendeva più felice, quindi, nonostante le tribolazioni (abbondandti) del caso, lei si sente liberata. Ma a nessuno sembrerebbe interessare niente di tutto ciò. L'importante è manifestare compassione, simpatia (entrambe in senso etimologico), senza neanche porsi il problema se ce ne sia bisogno o meno. Sarebbe bastata una semplice domanda razionale ("E te come stai?") ad evitare il rischio di un fraintendimento ("Ma come, ti dispiace di vedermi più serena!?"). Sovrastrutture comunicative, bello deh!
Come di consueto il dibattito è aperto, si accettano spunti e dati pro e contro la teoria.
Ma la comunicazione ha tante forme, non solo quella verbale (e il nuoto è lo sport più completo). Ad esempio, il modo di vestirsi. Gli olandesi sono un popolo che quando escono (popolo = tante persone, ricordiamolo per i nuovi lettori che non sono ancora familiari con la poetica del blogghe) ci tengono a vestirsi a modino, con le cosine giuste, gli accostamenti azzeccati etc. Lo si deduce anche dai tanti negozi di vestiti bellini che ci sono qui. Questo trend è, però, confinato all'esterno dell'High Tech Campus di Eindhoven, o, quanto meno, all'esterno dei dipartimenti di ricerca. Si vedono delle cose allucinanti, ad esempio:

  • stessa camicia per tutta la settimana lavorativa lunedì t/m (che vuol dire "da a estremi inclusi" in olandese) venerdì per un brasiliano trapiantato prima in Germania e ora qui;
  • camicia a righe verticali con gilet a rombi per un cinese che, porino, c'avrebbe anche dei bei vestiti, ma li accozza a cazzo di cane, come nel caso riportato;
  • felpone sportive cheapissime rigorosamente nere da uomo per la polacca con cui condivido, temporaneamente, l'ufficio (colpo di classe: pantofole sanitarie che tiene lì in ufficio e che non manca di indossare puntualmente ogni giorno dal momento in cui arriva al momento in cui riparte)
  • ma quello che all'unanimità è stato eletto dalla redazione come must della stagione autunno/inverno 2010-2011 è la camicia sotto alla polo a maniche lunghe, con tanto di doppio colletto, per il caro Paul Damink, che ha appena lasciato il gruppo: caro Paul ci mancherai!
Per lo meno anche in questo c'è una comodità: per quanto mi possa vestire a caso la mattina, sarò sempre nella top 3 dei più eleganti!

domenica 29 agosto 2010

Il post più atteso

Era nell'aria. Si sapeva che questo post non avrebbe tardato. Ed eccolo là: dopo sole 2 settimane dal trasferimento ad Eindhoven (lo sapevate tutti, vero?) il primo post internescional (o auannaganna, che dir si voglia). Il post dovrebbe essere prolisso, troppo persino per la redazione (che di certo non annovera la sintesi fra le proprie doti più spiccate), quindi bisogna accontentarsi. Del resto, stavolta forse è arrivato il momento di realizzare il proposito proposto in ogni post programmatico ma mai rispettato: post più frequenti e più brevi. Tanto, alla fine, la sera a casa la redazione riesce con facilità ad isolarsi dal resto del mondo, dato che ha deciso, suo malgrado, (suo malgrado una sega, o così o ghianda!) di andare a vivere da sola in un accettabile bilocale su due piani in Hoogstraat 371.12.
L'idea, in realtà, sarebbe di rimanere qui per il primo periodo, dopo di che cercare qualcuno interessato a condividere un appartamento con un giovane brillante piacevole nell'aspetto e di sicuro avvenire. La sera cenare da soli è bigia. E poi 750 euri ar mese per 40, max 50 metri quadri non so mia poi. Almeno le bollette sono tutte incluse (deh, asciugati). E poi c'è la piscina. Davvero, c'è la piscina. Non è gigantesca ma c'è la piscina. Peccato che non sarà umanamente accessibile fino al prossimo luglio, dato che l'acqua sta per congelarsi, ma c'è la piscina.
La piscina (e la lavatrice) non è solo mia, dato che abito in una sorta di complesso di piccoli appartamenti (12), più o meno simili a questo, popolati da giovani impiegati per lo più Philips. La posizione è spettacolare, meno di 10 minuti di bici dal High Tech Campus (yeah) che è il posto dove lavoro (insieme a circa altre 7999 persone che lavorano per Philips o per una miriade di altre compagnie più o meno piccole, una sorta di indotto, forse), circa 15 minuti dal centro della città, circa 200 m da una piazzetta su cui si affacciano supermercato, banca (per ora è inutile perché ho un conto su cui ci sono 0 euri, dato che Fernando Philips non si è ancora degnato di pagarmi) fornaio, barbiere (inutile, e non solo per ora), gelateria, Blokker (una specie di emporio, c'ho comprato tutto per la casa, dai coltelli all'aspirapolvere), videonoleggio (mi chiedo come facciano a sopravvivere, dato che anche Blockbuster c'ha poino a fallì) (Ibra intanto sta dicendo "Quest'anno vinciamo tutto" nel centro del campo di San Siro nell'intervallo di Milan-Lecce) (e lo sta dicendo con quello sguardo a ebete che lo contraddistingue) (in realtà crediamo che nel Milan possa fare la differenza davvero, ecco il perché della frecciatina). Ora poi che ho comprato quasi tutto (manca praticamente solo una cassettiera di plastica, che andrò a comprare domani sera proprio da Blokker) la casa sta assumendo un grado di vivibilità decente. Non mi lamento, anche se nei prossimi giorni mi incontrerò con un ragazzo italiano lavoratore che sta cercando qualcuno con cui condividere un appartamento (la cena da soli è triste) (e 750 euri so un milione e mezzo di lire, come direbbe il miglior Ale): l'idea sarebbe cercare una casa più grande, non certo rimanere qui.
Direi che per stasera può andare bene così, il racconto deve essere graduale e distribuito.
Ah no, fermi, mi so dimenticato una cosa: o che cazzata è il nuovo blog del poro Mucci!? Lui è fissato co ste cose moderne da giovani... mah! Che vi devo dì!? Volevo commentà pe offendelo, un c'è stato verso, un so mia stato bono! Sarò troppo vecchio io, per carità...

Una cosa poi la voglio aggiungere: fra le varie peregrinazioni, questa è la prima città senza una torre famosa (è anche la prima all'estero, ma questa è un'altra storia). Però che libidine poter usare ancora la bicicletta! Le mie arterie ringraziano!